The Guardian, 30.3.09
[articolo originale di Tana de Zulueta qui]
Nella nazione che ha ospitato il primo ghetto della storia, una nuova segregazione sta prendendo piede. La persecuzione dei nomadi rumeni è scioccante.
La gente ha dimenticato, ma la storia europea della segregazione è iniziata a Venezia. Ghetto è una parola veneziana. Era, ed è ancora, un quartiere, uno dei più antichi della città, che si pensò di chiamare così per mezzo di una fonderia che vi si trovava un tempo. Nell’anno 1516 il senato veneziano ordinò che gli ebrei che venivano nella città fossero confinati in questo quartiere. I cittadini non ebrei non potevano vivere lì e quelli ebrei non potevano vivere altrove. Fu così costituito il primo ghetto al mondo.
Ben presto a Roma il Papa perseguì la causa e ordinò, per mezzo della bolla papale nell’anno 1555, che gli abitanti ebrei di Roma fossero confinati in un unico quartiere. Questa zona venne isolata, con soli due punti di entrata e di uscita; veniva fatta la guardia ai cancelli, i quali venivano sbarrati al tramonto e riaperti all’alba.
Vennero imposte altre restrizioni quali il divieto di prestare soldi ai cristiani. L’unico commercio consentito era l’abbigliamento, nuovo o usato. Oggi i negozi di abbigliamento più antichi di Roma si trovano all’interno e intorno al quartiere ancora noto come il ghetto. La logica era quella della separazione, fonte di pregiudizi, discriminazione e, da ultimo, genocidio. Il 16 ottobre 1943, 100 soldati tedeschi circondarono il suddetto quartiere e catturarono 1022 tra uomini, donne e bambini e li deportarono ad Auschwitz. Solo 17 fecero ritorno.
Fu a Roma, durante il Rinascimento, per ordine del Papa Paolo IV, che il colore giallo, come indumento o toppa cucita sugli abiti maschili e femminili, venne imposto per la prima volta per distinguere gli ebrei. Come si può dimenticare questa terribile lezione?
E di nuovo in Italia sta prendendo forma un pericoloso esperimento nell’ambito della segregazione razziale. Si tratta di un paragone scomodo ma Gad Lerner, giornalista e presentatore televisivo nato in Libano da genitori ebrei e naturalizzato italiano, ha attirato l’attenzione sui paralleli tra pregiudizi antecedenti alla persecuzione degli ebrei e il trattamento dei nomadi oggi.
L’enorme e sconnesso campo nomadi fuori Roma noto come Casilino 900 ha scioccato i turisti a causa delle sue pessime condizioni. Ma il nuovissimo campo di Castel di Decima, un altro accampamento romano, con le sue file di capanne prefabbricate a diversi chilometri da qualsiasi cosa è, se possibile, ancora più tetro. Nonostante le vedute aeree televisive e i bambini che giocano, sembra un luogo di detenzione. Ancora di più, ora che è stato recintato e poliziotti in uniforme sorvegliano gli ingressi.
L’anno scorso il nuovo governo italiano ha proclamato l’ “emergenza” rom, ossia emergenza nomadi. Immediatamente circa 150.000 rom che vivono in Italia sono diventati un problema di ordine pubblico nazionale, obiettivo non solo di speciali misure di polizia ma anche di un’ostilità pubblica sempre più evidente. Poliziotti in uniforme hanno fatto irruzione negli accampamenti rom per fare un censimento, durante il quale sono state prese le impronte digitali. A Napoli tre campi nomadi nella periferia di Ponticelli sono stati rasi al suolo dopo che una folla arrabbiata ha costretto gli abitanti spaventati a fuggire, scortati dalla polizia.
A febbraio di quest’anno il Prefetto di Roma, in veste di commissario speciale per l’emergenza rom, ha stabilito nuove leggi per regolamentare la vita nei sette campi progettati ufficialmente nella regione. I campi devono essere sbarrati, sotto la supervisione della polizia. Sebbene la permanenza sarà temporanea, come preludio ad una ulteriore “integrazione”, non è stata data alcuna indicazione su dove debbano andare quelli che devono uscire o essere buttati fuori dal campo, in quanto non sono registrati. Il sindaco di Milano ha annunciato regole simili, incluso il fatto che i cancelli del campo debbano essere chiusi alle 10 di sera. La protesta è stata messa a tacere.
Anche il sindaco progressista di Venezia Massimo Cacciari, scrittore e professore di filosofia, che ha acceso uno scompiglio locale quando ha annuciato i progetti di costruire un villaggio rom per 30 famiglie lo scorso anno, ha spiegato in una recente intervista televisiva che l’accampamento, che sarà completato entro la fine di quest’anno, garantisce la “separazione” dai suoi vicini non nomadi.
È questa insistenza sulla separazione che allarma gli stessi rom. Il musicista italiano di origine rom Alexian Spinelli, che insegna all’Università di Trieste, ha preannunciato che il villaggio rom di Cacciari rischia di diventare un ghetto dei tempi moderni, esponendo i suoi abitanti all’ostilità o peggio. La gente ha acclamato il vicesindaco del vicino Treviso, Giancarlo Gentilini, in una manifestazione dello scorso anno quando ha borbottato: “Voglio una rivoluzione contro i nomadi… Voglio eliminare tutti i bambini nomadi che rubano”. Gentilini è un membro della Lega Nord, partito del Ministro degli Interni Roberto Maroni. Eva Rizzin, ricercatrice, lei stessa rom, ha scaricato il discorso di Gentilini sul computer. “Mi sento malissimo quando lo ascolto”, afferma. “Se venisse usato un linguaggio del genere contro qualsiasi altro gruppo, la gente ne rimarrebbe scandalizzata”.
Molti politici fanno finta di non sentire. Lerner pensa che dovrebbero saperlo. “La storia ha dimostrato che al linguaggio dell’odio ben presto seguono atti di violenza”, scrive nel suo blog.
(traduzione di Anna Cascone)
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