domenica 7 marzo 2010

La protesta pacifica del popolo viola dilaga in tutta Italia










El País, 7.03.10

Il movimento chiama a difendere la democrazia dopo il decreto di prepotenza (lett. "decretazzo", NdR) di Berlusconi. Il Corriere della Sera sostiene che il premier abbia trattato "brutalmente" il Capo dello Stato. La popolarità del Governo scende di quattro punti e tocca il suo valore minimo.

[articolo originale qui]


Il Popolo Viola, movimento pacifico in difesa della Costituzione nato nei social network, ha organizzato per oggi manifestazioni in tutta Italia per protestare contro il decreto approvato venerdì dal Governo e che riammette le liste del PdL escluse per motivi burocratici dalle regionali dei giorni 28 e 29.

A Napoli, Roma, Firenze, Ferrara, Arezzo, Sassari, Reggio Calabria, Bari, Pistoia, Messina, Pescara e altre città, migliaia di giovani con addosso indumenti viola - colore scelto come segno di indipendenza dai partiti - hanno letto i messaggi legati alla pagina del movimento (ilpopoloviola.it) attraverso Facebook e Twitter, per unire la protesta della rete e della strada.

Il Popolo Viola ha inoltre aderito alla manifestazione di sabato prossimo, organizzata dal centro-sinistra per mostrare la sua contrarietá al polemico decreto "salvaliste".

Al centro delle critiche rimane il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che ieri ha giustificato la sua decisione di firmare il decreto in una lettera aperta ai cittadini nella quale rivelava che il caso ha generato "serie tensioni istituzionali".

Mentre Antonio di Pietro, leader di Italia dei Valori, continua a insistere sul fatto che Napolitano ha agito in modo "dannoso e inutile", perché ha firmato il decreto senza aspettare che i giudici decidessero sul ricorso del PdL, il centro-sinistra giustifica il presidente ricordando che la politica è l'arte del possibile, e che Napolitano non avesse altra scelta per "evitare situazioni di violenza".

In questo senso, è impressionante la ricostruzione che fa oggi il Corriere della Sera dell'incontro giovedì sera tra Berlusconi e vari ministri con Napolitano al Quirinale. L'idea di Berlusconi era che il presidente dovesse firmare un decreto chiaramente incostituzionale di rinvio delle elezioni, ma questi avrebbe rifiutato gatecoricamente. Quindi, secondo il quotidiano, il premier si è comportato in modo "brutale" col capo dello Stato, ricordandogli di essere l'unico capo votato dal popolo, e che la sua firma fosse solo un passaggio, formale e comunque obbligato. "Lo ha trattato, insomma, alla stregua di un segretario, un mero notaio", scrive il Corriere.

Berlusconi ha alzato la voce, ci sono state grida, e anche Napolitano avrebbe alzato il tono per replicare che se gli avessero mandato un decreto così, l'avrebbe rifiutato dichiarando un conflitto di competenze alla Corte Costituzionale. Berlusconi sarebbe diventato sempre più furioso, minacciando di portare le masse per le strade, lanciando anatemi contro le formalità e la burocrazia.


Dopo un'ora di discussione, il premier ha abbandonato il Quirinale e il suo ministro degli Interni, Roberto Maroni, avrebbe iniziato a cercare un compromesso: il decreto interpretativo. Solo ieri, dopo la firma del decreto da parte di Napolitano, che sostiene che questo non presenti indizi di incostituzionalità, Berlusconi ha telefonato al presidente della Repubblica per chiedere scusa. La convivenza pacifica e, forse, il futuro del sistema democratico italiano si sono persi per strada.

La fragilità dell'opposizione, ad ogni modo, esime Napolitano. Il centro-sinistra che in teoria difende e appoggia il presidente ex-comunista, di 84 anni, ha dimostrato ancora una volta la sua debolezza cronica e la sua mancanza di visione. Se avesse accordato con Berlusconi una soluzione politica al pasticcio, provocato dal partito della maggioranza ma dannoso anche per lei, ne sarebbe uscita rinforzata e Napolitano non sarebbe rimasto solo contro la violenza dell'imbufalito Berlusconi, giocandosi il proprio prestigio, l'equilibrio istituzionale e il suo ruolo di garante della Costituzione.

Ad ogni modo, il grande perdente in questa storia di abusi di potere e incapacità politica generale, in cui non ci sono innocenti, è Berlusconi. Un sondaggio del Corriere della Sera mostra oggi che il caso delle liste ha fatto scendere la popolarità del Governo al valore più basso di tutta la legislatura, a meno del 39%, perdendo quattro punti in un mese e più di dieci rispetto al suo massimo, dopo l'aggressione a piazza del Duomo lo scorso dicembre.

La flessione si manifesta principalmente tra gli elettori del PdL: 17 punti in meno, dal 93% al 76%. E riflette la disillusione crescente dei votanti della Lega Nord: dall'83% del mese scorso al 57% di oggi.


Il testo del "decretazzo"

La stampa italiana dedica oggi ampio spazio al decreto "su misura". Secondo il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky non si tratta di un decreto "interpretativo", come sostengono il Governo e lo stesso Presidente della Repubblica. A quanto dichiarato dal famoso giurista, ex presidente della Corte Costituzionale, a La Repubblica, il testo approvato ritocca la normativa esistente, contravvenendo così alla legge 400/88 che regola i poteri del Governo (non può emanare decreti urgenti in materia elettorale), oltre a violare i principi di uguaglianza e imparzialità perché cambia le regole del gioco elettorale in piena campagna e beneficia il partito più importante rispetto a terzi.

Il testo definitivo del decreto, nascosto con cura dal Governo la notte della sua approvazione, lascia poco spazio ai dubbi. Il primo articolo proclama che "il rispetto dei termini della presentazione delle candidature si considera 'valido' quando i delegati abbiano fatto il loro ingresso fisico nei locali del tribunale" (la qual cosa assolve le liste del PdL a Roma, presentate oltre la scadenza dal delegato che ha abbandonato il tribunale per cambiare alcuni nomi ed è poi tornato quando il tempo legale per la presentazione era scaduto).

Il secondo prevede che "le firme si considerano valide anche se abbiano irregolarità formali", punto che risolve in modo preventivo l'esclusione delle liste del PdL in Lombardia, presentate con 500 firme false, e che comunque sono state riammesse ieri stesso, senza tenere in considerazione il decreto, dal TAR.

Il terzo articolo reinterpreta la forma corretta di fare ricorso alla decisione dei giudici elettorali, e l'ultimo (incluso in caso gli anteriori non funzionino) fissa una nuova scadenza straordinaria per presentare le liste: domani, dalle 8 alle 20.

Zagrebelsky riassume: "Primo: un decreto su questo argomento non si sarebbe potuto fare. Secondo: agenti politici interessati modificano unilateralmente la legge elettorale e a loro favore. Terzo: si finge che sia una interpretazione, quando è evidente l'innovazione. E quarto: l'innovazione si fa con formule del tutto generiche che espongono le autorità giudiziarie, qualunque sia la loro decisione, all'accusa di parzialità".